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L’Iran condanna a morte un giornalista

L’Iran condanna a morte Ruhollah Zam un giornalista iraniano. Viveva in esilio a Parigi. Dalla Francia scriveva articoli contro il regime iraniano ed era molto attivo sui social (vietati in Iran ma a cui tanti riescono ad accedere comunque).

Durante le varie manifestazioni di protesta che si tengono contro il regime, mostrava le repressioni e incitava le persone a scendere in piazza. Sui social faceva circolare gli orari e i luoghi degli appuntamenti per i manifestanti.

I servizi segreti lo hanno intrappolato: sotto mentite spoglie, gli hanno fatto credere che altri dissidenti avessero raccolto denaro per il suo canale YouTube. Alla fine sono riusciti a convincerlo a recarsi in IraQ (Iraq, non Iran!) per concludere. In Iraq lo hanno rapito e portato in Iran. Lì è stato condannato di corsa per il seguente reato: “aver mosso guerra contro Dio (Moharebeh) e aver seminato corruzione sulla terra (Ifsad fel Arz)”.

Perché un accusa così vaga, per noi proprio ridicola? Perché tutto il sistema penale iraniano (come tutto il resto) si basa sui testi sacri islamici.

La corruzione della terra

Per cui questa è l’accusa che discende da Corano 5.33

“La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l’ignominia che li toccherà in questa vita; nell’altra vita avranno castigo immenso”.

Non vi sorprenderà a questo punto scoprire che la pena in Iran per la “corruzione della terra” sia la crocifissione, la doppia amputazione o l’impiccagione.

L’Iran condanna a morte il giornalista e lo ha impiccato in tutta fretta per evitare che partissero campagne umanitarie che chiedessero la sua liberazione. Tutto ciò è accaduto a dicembre del 2020. Questo è l’Iran: una teocrazia che prende alla lettera quanto scritto nei testi sacri.

Tu saresti contento che avessero l’atomica?

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