Si, Tibet libero anche dal Dalai Lama. Eccome. Ma cominciamo dalla geografia.
Cosa è il Tibet? È il tetto del mondo. L’altitudine media è superiore alla cima del Monte Bianco (4,808 metri). Copre oltre un quarto del territorio cinese e ci sono solo pochi milioni di Tibetani. La retorica moderna vuole che sia un luogo spirituale, incantevole, dove la natura vive in armonia con l’uomo.
Il Tibet è un paradiso?
No, semmai è un inferno e lo è sempre stato. I pochi che visitarono in tempi passati ricordano principalmente lo sporco, la povertà e l’ignoranza della popolazione.
Ma vi rendete conto quanto sia difficile rimanere puliti e costruire fogne a quelle altitudini? Lhasa è a “soli” 3.650 metri di altezza. Ma anche a quell’altezza l’acqua non bolle a cento gradi, dunque eliminare tutti i germi è dura anche oggi.
E poi con cosa la facevi bollire l’acqua? Non ci sono alberi, non c’è legno. Vivevano da nomadi, isolati dal mondo e soffrivano regolarmente freddo e fame.
A tutto ciò va aggiunta l’oppressione del… Dalai Lama! Un bel quadretto.
Il Tibet è TURISMO ESTREMO?
Andare in Tibet è TURISMO ESTREMO? Dipende, in effetti. Se si prende un aereo da Pechino durante il periodo estivo, si vola a Lhasa, si visitano i templi senza capire granché e si torna indietro, di estremo c’è solo l’altitudine e l’obbligo di avere una guida con te (ma non tutto il tempo come in Corea del Nord).
Se invece ci si muove per le lunghissime strade del Paese, controllati di continuo dai poliziotti cinesi, se si superano passi di montagna a oltre cinquemila metri, se si raggiunge il campo base dell’Everest, se si dorme accanto agli yak e si partecipa ai pellegrinaggi, per me è già TURISMO ESTREMO. Quando poi si vive e si testimonia la sofferenza e l’oppressione di un popolo, siamo certamente nel campo del TURISMO ESTREMO. Ma c’è ancora di più quando ci si addentra nella religione, cioè nel regno della magia, degli spiriti cattivi, del proibito. Una religione onnipresente in Tibet, dove sesso e omicidio sono parte integrante di alcune dottrine. Sì, in questo caso si può decisamente parlare di TURISMO ESTREMO!
Tibet libero dall’oppressione del Dalai Lama
Da un punto di vista religioso il Dalai Lama è la reincarnazione del Bodhisattva della Compassione: cioè ha questo importante ruolo di “Presenza”. Amplifica su tutti gli effetti benèfici dell’esercizio della Compassione, cioè il desiderio che tutte le creature siano liberate dalla sofferenza.
Ma prima dell’arrivo dei Cinesi, il Tibet non era libero: era gestito dai monasteri.
In Tibet tutto era controllato dai monasteri
I monaci controllavano la religione e anche l’economia. Sono i monasteri i proprietari delle terre dove si è obbligati a lavorare; anche il commercio si svolge al loro interno.
I monasteri sono inoltre banche e molto, molto speciali. Raccolgono le offerte obbligatorie e volontarie. Era tradizione dare al convento comunque tutto ciò che si era riusciti a risparmiare, per trovarsi poi a elemosinare! I monasteri prestavano soldi a usura. Usura.
Di fatto è un continuo avere strumenti per costringere le persone a lavorare per il monastero e a dipendere da lui. Pare che in alcuni periodi un maschio su sei fosse monaco e dunque si rifiutasse di lavorare. Un monaco non può lavorare. Nel resto del mondo i monaci mendicano, qua prendono.
Questi monasteri tibetani erano anche in lotta tra loro, del resto c’era ora tutto in palio: potere economico e religioso insieme. Tanti monaci erano di fatto dei soldati al servizio del monastero (la Cina infatti attaccò i monasteri dicendo che erano soldati; il che era mezzo vero).
La religione in Tibet è onnipresente
La devozione religiosa era spesso molto sincera. Ancora oggi tanti si prostrano di continuo in mezzo alla strada a Lhasa. Se in disparte e senza ostruire nessuno sono devoti “sinceri”, se in mezzo alla strada, vistosamente, è gente che chiede l’elemosina: le loro prostrazioni sono diventate un vero lavoro, lui si prostra, voi pagate, a voi il beneficio del suo sforzo. Come far dire una messa, qualcuno prega al vostro posto.
Ma, sia pure con notevoli eccezioni, tanto è superstizione. Di quella brutta, perché ti fa vivere male e avere un solo sentimento sincero: la paura.
Forze malvagie sempre in agguato che solo i poteri magici dei grandi lama possono contenere. Insomma, per il tibetano medio, la vita è grama e deve inoltre farsi carico di questo enorme apparato monastico (e nobiliare). In cambio non riceveva nulla in servizi “terrestri”, la mortalità infantile era tra le più alte al mondo e la scuola quasi inesistente. Per imparare qualcosa passano carponi sotto agli scaffali pieni di libri per “assorbire” così conoscenza.
L’invasione cinese del Tibet
Dal 1949 Mao è padrone della Cina. Nel 1950 scoppia la guerra di Corea. Gli Usa sono impegnati lì, l’India ha appena ottenuto l’indipendenza (1947) ed ha i suoi guai con il Pakistan.
Mao approfitta del contesto per invadere il Tibet che era libero e autonomo da pochi decenni.
Il Dalai Lama negli anni ’50 è solo un adolescente e diviene uno strumento in mano ai Cinesi per controllare i Tibetani irrequieti. Gli tocca disconoscere i ribelli (resistenti?) e firmare richieste in cui pregava i Cinesi di intervenire. Ma i Tibetani si oppongono a più riprese.
Nel 1959, la Cina, stufa della situazione, intervenne in maniera brutale contro una ennesima sollevazione. Fu un massacro; decine di migliaia di morti.
Il Dalai Lama scappò in India su indicazione dell’oracolo (io volevo restare ma sapete l’oracolo…).
L’oppressione cinese contro la religione tibetana
I Cinesi misero in moto la loro macchina da distruzione e propaganda. Devastarono i monasteri, torturarono, costrinsero i monaci a peccare, portarono prostitute nelle loro celle, distrussero arte e libri tibetani così a lungo sopravvissuti.
I comunisti nella amica del Tibet, la Mongolia, fecero cose simili. Sono tristemente famose le immagini in cui tutti i monaci sono costretti a defecare insieme [minuto 15:40 del video linkato] sotto alle telecamere per essere umiliati e derisi.
I Cinesi provarono a far vedere i monaci come parassiti e ricchi proprietari (che lo erano davvero). Il Dalai divenne semplicemente un pericoloso separatista.
E di fronte al poco successo, tentarono persino una rivisitazione della vita di Buddha in chiave socialista.
I comunisti chiusero il Palazzo del Potala per oltre 20 anni. E seppero essere perfidi: alla riapertura nel 1980, si poteva visitare la camera del Dalai, dove si vedeva il letto sfatto. Era il simbolo di come fosse scappato di corsa, come un codardo, lasciando il suo popolo a morire senza una guida.
E con lui in India è scappata tutta la élite. Dunque, le poche persone istruite sono lontane.
Vuoi approfondire? Nel libro l’Ambasciatore andrà in Tibet a vedere di persona come la brutalità cinese abbia distrutto una cultura ma portato modernità e benessere. Poi, sempre in compagnia di Marco PoLLo, andrà anche in India a cercare il Dalai Lama che nel suo esilio ha ricreato un piccolo Tibet libero. Infine si parla anche del Bhutan, il nuovo “Babbo Natale” dei turisti…
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